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AZIENDA AGRICOLA SCUDELLARO
Poco distante dalla Villa Garzoni, progettata dal famoso Jacopo Sansovino, e dalla bellissima Villa Renier, nel cuore della verde campagna a sud di Padova, ha sede l’Azienda Agricola Scudellaro.
È un’azienda specializzata che alleva in modo non intensivo varie razze avicole pregiate, scelte per la bontà delle carni che producono. L’attività è nata circa 30 anni fa per rispondere alla crescente domanda da parte di vicini e conoscenti che avevano avuto il privilegio d’assaggiare i volatili che la famiglia Scudellaro allevava per il proprio fabbisogno.
In ampi recinti all’aperto si allevano avicoli di razza pregiata come: polli collo nudo label leggero e kabir, galline razza “gaina”, capponi golden e gaina, capponi di faraona, faraone gallor, oca romagnola e oca cigno, germano reale, tacchinella nostrana a piumaggio nero, anitra mulard, oltre olle più comuni razze quali il pollo broiler, pollo r1 pesante, pollo collo nudo pesante, anitra muta francese e italiana, oca pesante, cappone collo nudo, cappone eureka, cappone kabir.

CAPPONE DI MOROZZO
A Morozzo tradizionalmente i capponi si fanno con la nostrana di Morozzo, che deriva dalla razza bionda, e, quando sono pronti, hanno una lunga coda nera con riflessi metallici e penne lucide rosso mattone orlate di blu o di verde. Si riconoscono per un particolare che notano soltanto gli allevatori: durante le fiere e le mostre, nelle gabbiette e nelle ceste, i capponi sono placidamente affiancati in coppie, comportamento impensabile per due galli.
La preparazione del Cappone è prerogativa esclusiva delle donne, perché richiede mani fini e abili. Ed è il coronamento di un lavoro paziente iniziato in primavera, con la schiusa dei pulcini. Nei primi giorni la loro dieta è a base di mangime vegetale e poi sono lasciati liberi: i galletti (e poi i capponi) devono disporre di almeno cinque metri quadrati di spazio all’aperto e sono rinchiusi solo la notte. La castrazione avviene ad agosto, permettendo ai Capponi di crescere per altri quattro, cinque mesi e di essere pronti a Natale (non si macellano mai prima di 220 giorni).
La carne del Cappone è morbida, tenera e delicata: i puristi la gustano semplicemente lessa e bagnata nel sale (o al limite accompagnata dal bagnet verde) ma può anche essere ingrediente di piatti raffinati, come il pasticcio o il cappone ripieno. Genitali, creste e bargigli si fanno soffriggere con un battuto di cipolla, rosmarino e pomodoro o si destinano al sugo di frattaglie, per condire il primo piatto più classico della cucina piemontese, i tajarin (a base di uova e farina, impastati, tirati e, secondo la migliore tradizione, anche tagliati a mano per formare sottili capelli di pasta che vanno appena scottati in acqua bollente).

CONIGLIO GRIGIO DI CARMAGNOLA
Come dice il nome, il Coniglio Grigio di Carmagnola ha pelliccia soffice, folta, grigia (un poco più chiara sul ventre, sugli arti e nella parte terminale della coda). Di taglia media, con un corpo allungato e lombi muscolosi, pare discenda da un incrocio con il cincillà. La salute molto delicata e la pelle sottilissima lo rendono molto difficile da allevare nelle comuni gabbie: l’ideale è un recinto con un pezzetto di prato e un piccolo ricovero in caso di intemperie, lontano da correnti, umidità e dal sovraffollamento degli allevamenti intensivi.
L’alimentazione migliore è a base di erba e mangimi naturali, la macellazione deve avvenire quando raggiunge un peso tra i 3,5 e i 5,5 chilogrammi per i maschi e i 3,5 e i 4 chilogrammi per le femmine.
Il coniglio Grigio di Carmagnola si segnala innanzi tutto per l’ottima resa: la sua struttura ossea è molto fine e la massa muscolare superiore a quella delle altre razze. Le carni sono fini, tenere, sapide, particolarmente bianche e per niente stoppose. Un tempo il coniglio ai peperoni fatto con le carni del Grigio di Carmagnola era un piatto immancabile in ogni menù delle osterie piemontesi, così come il coniglio all’Arneis nel Roero, piatto antico ed erede diretto della lepre al civet (dalle squisite carni marinate nel sangue e nel vino). Varianti più moderne lo propongono in agrodolce, al cioccolato, in salsa d’uovo.

AGNELLO SAMBUCANO
La Sambucana è comparsa sulle montagne dell’occitana Valle Stura, in provincia di Cuneo, nel XVIII secolo e si è subito adattata ai pascoli d’alta quota. È una pecora di taglia medio-grande, con una groppa larga e muscolosa e arti fini, solidi, non molto lunghi. La testa è leggera, senza corna, priva di lana, il muso è leggermente montonino, le orecchie leggermente divaricate. La lana è bianco paglierina (solo rari esemplari hanno il vello nero e una piccola macchia a stella sul capo) e la coda – sottile e lanosa – arriva fino ai garretti.
La Sambucana è preziosa per la lana, ma soprattutto per la carne. Gli agnelli sono macellati a un’età che va dai 45 ai 60 giorni (tra i 18 e i 25 chili di peso circa).
La maggior produzione cade nel periodo natalizio, ma c’è anche, in valle, la tradizione di consumare l’agnello già a partire dalla fine di ottobre, quando le macellerie mettono in vendita l’agnellone (tardun) nato alla fine della primavera e alimentato con il latte materno e l’erba degli alpeggi.
La carne dell’agnello Sambucano è compatta, sapida, saporita, poco grassa e ricca di proteine. Bartolo Bruna, chef del ristorante-albergo Pace di Sambuco, è il maestro delle ricette a base di questo agnello. Lo prepara al forno con il rosmarino, in crosta di pane, con i topinambour, e poi cucina le frattaglie di agnello: il fegato in padella, il paté di fegato con le castagne e la finanziera sono solo alcuni esempi delle sue interpretazioni del Sambucano.

LA REGINA
Come tutti i bovini autoctoni con mantello bianco è una razza antichissima. Ma la storia più interessante della Piemontese inizia nel 1886. In quell’anno e nel piccolo comune di Guarene d’Alba, in provincia di Cuneo, per la prima volta, da un mutamento spontaneo, nasce un toro con enormi natiche e cosce muscolosissime. Detto «groppa di cavallo» o «groppa doppia», è proprio lui il capostipite dei nostri «vitelli della coscia». Una svolta storica: razza da carne, da latte (in particolare in montagna) e da lavoro, da quel momento la piemontese inaugura la sua futura carriera di produttrice di carne.
All’inizio del Novecento i capi sono 680 mila; nel 1973 la Piemontese è la terza fra le razze italiane e la prima di quelle autoctone e, ancora nel 1985, conta oltre 600 mila capi. Ma dieci anni sono più che sufficienti a dimezzarli. Oggi sono circa 300 mila gli animali, distribuiti in 15 mila allevamenti: per lo più piccole stalle a conduzione familiare, assolutamente incapaci di reggere la concorrenza dei grandi allevamenti industriali. Eppure la carne di Piemontese è eccezionale, una delle migliori in Italia, unica, con il giusto tenore di grasso intramuscolare che la rende magra, ma particolarmente gustosa, e un tasso di colesterolo estremamente basso.
Per metterla alla prova, c’è un piatto semplice, che non a caso appartiene solo alla tradizione piemontese: la carne cruda battuta al coltello (condita con olio extravergine, sale e pochissimo pepe). L’altro piatto classico è il gran bollito misto, da intingere a bocconi nel sale e nei bagnet (il bagnetto verde, a base di prezzemolo, acciughe e aglio, quello rosso, a base di pomodoro, la cognà, fatta di mele cotogne e pere cotte nel mosto, la saossa d’avije, una salsa con miele, noci e senape, e la salsa di cren). Si cucina il vitello, ma anche il castrato, il bue e la vacca (la giura).

BIONDA PIEMONTESE
In Piemonte, fino a pochi decenni orsono, non c’era cascina che non allevasse polli, anatre, oche e conigli: piccoli animali da cortile destinati al consumo familiare o venduti per arrotondare i modesti bilanci aziendali. Le tradizionali razze di polli allevate erano due: la Bionda Piemontese (detta anche Bionda di Cuneo, Bionda di Villanova, Rossa delle Crivelle o Nostralina) e la Bianca di Saluzzo (conosciuta anche come Bianca di Cavour).
La Bionda ha piumaggio dorato e camosciato, la coda alta, nera con riflessi metallici, il becco giallo e la cresta ben sviluppata, eretta, con quattro, sei denti.
È molto ampia l’area della Bionda, che copre quasi tutto il Piemonte.
Negli anni Sessanta l’avvento dell’allevamento industriale e, in particolare nel Saluzzese, lo sviluppo di un’agricoltura intensiva, hanno soppiantato queste razze tradizionali (adatte esclusivamente all’allevamento all’aperto). Da sempre il pollo, nelle osterie di Langa e un po’ in tutto il cuneese, si cucina «alla cacciatora»: piccoli pezzi di pollo soffritti in un trito di aromi, un poco di vino bianco, cipolle e pomodori a pezzetti. Le carni acquistano sapore e morbidezza dalla salsa e la stessa salsa serve di condimento per la polenta. Infine è ottima la gallina lessa servita con il suo brodo, in gelatina o in insalata.
